Nel programma del Governo giallorosso del professor Conte non c’è ancora traccia di discontinuità nei capitoli della giustizia e del carcere, eppure il vizio della speranza non ci abbandona. La svolta che vogliamo è che torni ad essere perseguito il progetto costituzionale dei diritti e del reinserimento sociale delle persone detenute.
Il Governo della paura e del giustizialismo ha fomentato e rilegittimato il sovraffollamento penitenziario, riproponendo ricette vecchie e stantie, come quelle edilizie, invece delle strade coraggiose e innovative delle alternative al carcere.
Ignaro dei principi costituzionali, il vecchio Governo ha alimentato una rappresentazione conflittuale delle carceri italiane, dove non c’era posto per operatori formati al rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti e votati al fine costituzionale del reinserimento dei condannati, ma custodi in lotta contro i custoditi. Inevitabilmente il clima all’interno delle carceri si è fatto sempre più pesante: suicidi, aggressioni, episodi di autolesionismo sono diventati sempre più frequenti, come non si vedeva da molti anni.
La risposta alla nuova sofferenza delle carceri non può essere il ritorno alla chiusura dei detenuti nelle camere detentive (le vecchie celle) e l’interdizione degli spazi di socialità perché questa scelta non farebbe che alimentare altra disperazione e altra violenza. Occorre invece scrivere un nuovo patto per la riforma, a partire da ciò che è stato accantonato della proposta degli Stati generali dell’esecuzione penale: alternative al carcere, apertura all’affettività e riforma delle misure di sicurezza.
Come Conferenza dei garanti territoriali, abbiamo elaborato una proposta di legge per il diritto alla affettività e sessualità in carcere e chiederemo a Governo e Parlamento di decidersi a chiudere questa vicenda aperta ormai da vent’anni. La pena e la privazione della libertà non possono diventare un limite alle relazioni familiari, affettive e sessuali, e dunque vanno applicate le norme sulla territorializzazione della pena, ampliate le comunicazioni telefoniche, garantita la riservatezza degli incontri con i congiunti.
E così, le alternative al carcere devono liberarsi del fardello delle esclusioni di legge, contrarie alla finalità rieducativa della pena che deve valere per tutti: occorre garantire l’accesso alle alternative per gli autori di tutta quella ampia fascia di reati minori e non violenti che riempiono le carceri italiane, a partire da quelli previsti da una legislazione antidroga antistorica (responsabile di ingressi e presenze sopra il 30% secondo i dati del Libro Bianco sulle Droghe curato annualmente dalla Società della Ragione, Forum Droghe, Cnca, Antigone, Cgil e Associazione Luca Coscioni.
Infine, bisogna completare il percorso riformatore avviato con la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, assicurando l’applicazione della sentenza 99/2019 della Corte costituzionale (e seguendo le indicazioni del Comitato Nazionale di Bioetica). Il che significa consentire la detenzione domiciliare speciale per le persone affette da gravi disturbi psichici e garantire diffusione e qualità dei servizi psichiatrici in carcere e sul territorio, contribuendo così a ridurre l’internamento nelle Rems, che secondo la legge dovrebbero rappresentare la extrema ratio del trattamento (di regola territoriale). Ultimo, ma non meno importante, occorre affrontare la stortura del “doppio binario” tra pena e misure di sicurezza.
Su questi punti misureremo la discontinuità del nuovo Governo con il precedente e ci auguriamo che ministri e sottosegretari, vecchi e nuovi, e soprattutto i vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria vogliano raccogliere la sfida che il mondo del carcere si aspetta.
Il 4 e 5 ottobre a Milano la Conferenza dei Garanti regionali e comunali presenterà una piattaforma articolata per una svolta tangibile.