Mentre alcune centinaia di uomini e donne in regime di semilibertà si apprestano a tornare a dormire in carcere, dopo più di due anni di ottima prova in licenza straordinaria, in barba al principio di progressività nel trattamento penitenziario, il Ministro della giustizia, Carlo Nordio, ha individuato un nuovo capo dell’Amministrazione penitenziaria nella persona del procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia Giovanni Russo, preannunciando così il congedo di Carlo Renoldi, che negli ultimi nove mesi ha retto il difficile incarico su mandato della precedente Ministra Cartabia.
C’è spesso un’attenzione esagerata verso il capo DAP, per la morbosa curiosità che le carceri suscitano anche tra i non addetti ai lavori, ma anche per il suo contrario, per quel loro essere un mondo a parte, che la politica come l’opinione pubblica tendono a delegare all’autonomia dell’amministrazione che se ne occupa. E così la scelta di un capo DAP assume un rilevante significato politico. Basti pensare al ruolo per la riforma del carcere di due personalità come Nicolò Amato e Alessandro Margara.
Non per altro da qualche tempo si chiede che al Ministero della giustizia sia nominato un Vice Ministro dedicato, in modo che la politica si riprenda la sua responsabilità nelle scelte di indirizzo in materia di carcere e pena. Ma non è andata così neanche stavolta: il Vice Ministro Sisto non si occuperà dell’esecuzione penale e il Ministro Nordio ha rifatto lo spezzatino delle deleghe tra i sottosegretari. La politica penitenziaria resterà quindi nelle mani del capo DAP e dunque tocca tornare a scrutare il vertice dell’amministrazione per capire che carcere sarà quello dei prossimi anni.
Non sappiamo ancora nulla di Giovanni Russo, salvo quel che ci dice la sua esperienza professionale: un procuratore, come spesso in passato, per di più antimafia, secondo un adagio infondato che immagina quel ruolo come lo svolgimento di un’attività inquirente con altri mezzi in un avamposto della lotta alla criminalità organizzata. Ha ragione sul Riformista di sabato scorso, Giandomenico Caiazza, presidente delle Camere penali, a stigmatizzare questa coazione a perseverare nella confusione di ruoli e di competenze. Nella migliore delle ipotesi, il dott. Russo, cui comunque auguriamo sinceramente di fare presto e bene, dovrà impiegare mesi a scoprire dove si trova, le urgenze delle carceri, la complessità della macchina amministrativa a cui sarà messo a capo. Mesi decisivi per un sistema penitenziario che soffre di tare storiche e accidenti recenti messi in luce dalla pandemia, e da troppi suicidi e violenze. E in politica, si sa, il tempo è metà dell’opera.
Il tempo è quello che è mancato a Carlo Renoldi, magistrato – invece – tra i più esperti di carcere, che in pochi mesi ha dato importanti segnali di riforma, dalla circolare sui colloqui e le videochiamate al rinnovo delle indicazioni per la prevenzione del rischio suicidario, e che in un articolo di congedo, pubblicato su La Stampa di domenica scorsa, lascia al suo successore utili indicazioni per la valorizzazione del DAP.
Il Ministro Nordio non ha ritenuto che potesse essere ancora Renoldi a condurre l’Amministrazione penitenziaria. Era prevedibile, anche per l’astio con cui alcuni referenti sociali della destra avevano attaccato la sua nomina. Un ministro, in fondo, è il ministro della sua maggioranza e a essa risponde. Se di occasione mancata dobbiamo parlare, bisogna forse risalire più indietro, a quella breve finestra di tempo in cui la Ministra Cartabia aveva individuato un ottimo capo del dipartimento, la Commissione ministeriale per l’innovazione del sistema penitenziaria presieduta dal prof. Marco Ruotolo aveva indicato i provvedimenti da adottare subito e la legislatura sembrava avere ancora un anno di vita. Ma, come si dice: chi ha tempo, non aspetti tempo.