Nella sua prossima riunione, l’ultima prima dello scioglimento delle Camere, il Consiglio dei Ministri approverà i primi decreti di riforma dell’ordinamento penitenziario, frutto del lavoro delle commissioni ministeriali che hanno corpo alla delega parlamentare, ispirandosi alle riflessioni degli Stati Generali sull’esecuzione della pena.
Un intervento utile e opportuno perché dalla legge del 1975 molto è cambiato nelle carceri italiane. Già nel 2005 Alessandro Margara – ispiratore della legge Gozzini e autore del regolamento penitenziario del 2000 – affrontò l’esigenza di un adeguamento dell’ordinamento sul fronte dei diritti e della dignità della persona e riscrisse l’intero testo di legge con importanti innovazioni. La sua proposta fu presentata alla Camera dei Deputati il 3 novembre del 2005 con le firme, tra gli altri, di Marco Boato, Anna Finocchiaro, Giuseppe Fanfani e Giuliano Pisapia. Dopo dodici anni, quindi, si realizza un progetto a lungo perseguito.
Dalle puntuali informazioni del Garante nazionale delle persone private della libertà, sappiamo che il Ministero della giustizia ha elaborato cinque distinti decreti delegati, di riforma dell’ordinamento penitenziario per adulti e per i minori, di riforma delle alternative alla detenzione e delle misure di sicurezza, di disciplina delle misure di giustizia riparativa. Misure necessarie e urgenti (si pensi alla revisione della disciplina delle misure di sicurezza all’indomani della chiusura degli Opg, o alla prima approvazione di una regolamentazione specifica dell’esecuzione penale per i minorenni), si affiancano a revisioni indirizzate nel senso del riconoscimento dei diritti dei detenuti, della decarcerizzazione e della sperimentazione di nuove pratiche di giustizia riparativa. Si tratta, dunque, di un complesso apparato normativo che è necessario che arrivi tutto a compimento, senza accantonamenti che potrebbero essere ingiustificatamente invocati con il pretesto dello scioglimento delle Camere, alle cui Commissioni competenti spetta dare il parere di conformità alla delega concessa con la legge (e che può essere dato anche a Camere sciolte).
Siamo dunque preoccupati che il disegno riformatore subisca incidenti di percorso, proprio per il periodo delicato in cui si viene compiendo e che potrebbe motivare resistenze e opposizioni strumentali. Bisognerà vigilare, quindi, sui contenuti dei decreti, affinchè rispondano alle aspettative dei detenuti e degli operatori coinvolti negli Stati generali. Ma oggi, in particolare, siamo preoccupati del fatto che la norma sulla coltivazione delle relazioni affettive delle persone detenute non è presente nel testo che andrà al prossimo Consiglio dei ministri. Il Governo, infatti, è in attesa della copertura di spesa per i necessari interventi di edilizia presente nella legge di bilancio in corso di approvazione. Ma il rischio che si ripeta quanto avvenuto nel 2000, quando il Consiglio di Stato bloccò la norma sull’affettività contenuta nel regolamento perché non era supportata da un’adeguata previsione di legge, ci preoccupa. Le diffuse resistenze – a un tempo moralistiche e vessatorie – a un diritto riconosciuto in tutti i paesi europei, recentemente sono state esplicitate da alcuni sindacati di polizia penitenziaria con argomenti inqualificabili per dei pubblici ufficiali. Per questo rivolgiamo un appello al ministro Orlando, che tenacemente ha perseguito questo progetto di riforma, affinchè sia chiaro da subito che l’affettività ne è una parte integrante, annunciando sin d’ora che le relative previsioni normative saranno decise dal successivo Consiglio di ministri.