Il 6 e 7 maggio scorsi, al Palazzo di Vetro si son tenuti una serie di incontri in occasione del “dibattito di alto livello” convocato dal Presidente dell’Assemblea Generale come appuntamento preparatorio dell’Ungass 2016 – la sessione speciale dell’Assemblea Generale sulla droga, la prima dopo quella del 1998, che si svolse sotto lo slogan “Un mondo senza droga. Possiamo farcela”. Se a marzo alla Commissione Droghe di Vienna (Cnd 2015) s’era già segnalato l’emergere di un fronte di scettici dello status quo proibizionista, a New York si è finalmente passati alla critica costruttiva.
Jan Eliasson, vice di Ban Ki-moon, ha ricordato che lo scopo dell’Onu è di alleviare le tragedie umane, di promuovere una vita dignitosa contro tutte le discriminazioni e che l’uso del diritto penale per governare certi fenomeni sociali va nella direzione opposta. Sul fronte dei governi, i capofila dello scontento sono stati i paesi latino-americani (per due ore la lingua ufficiale dell’Onu è stato lo spagnolo) guidati dalla Colombia, il cui ministro della giustizia Reyes Alvarado ha elencato ciò che occorre fare: recuperare l’obiettivo originario delle Convenzioni, cioè migliorare la salute e il benessere pubblico; allineare le politiche sulle droghe con gli impegni relativi alla protezione e promozione dei diritti umani, inclusa l’abolizione della pena di morte; garantire il diritto alla salute, focalizzandosi sull’eliminazione dei danni e sull’accesso alle medicine essenziali; definire misure per affrontare le nuove sostanze e rivedere i sistemi per la riclassificazione delle stesse; riconoscere agli stati membri ampio margine per adeguare ai propri contesti nazionali le politiche internazionali di controllo; migliorare la partecipazione di tutte le agenzie dell’Onu e della società civile ai lavori di preparazione dell’Ungass; promuovere alternative all’incarcerazione, quindi decriminalizzare l’uso; promuovere lo sviluppo alternativo e tutelare l’ambiente. Puro buon senso riformatore. Da parte di chi ha subito gli effetti nefasti della guerra alla droga.
Una settimana dopo queste parole, con motivazioni legate alla salute pubblica e all’inquinamento, il governo liberal-conservatore di Bogotà ha sospeso l’ultra ventennale Plan Colombia, cioè le fumigazioni aeree delle piantagioni di foglia di coca che alcune stime ritengono essere costate quasi due miliardi di dollari senza aver ridotto minimamente le oltre 300 tonnellate annue di pasta di coca prodotta nel paese andino. Una repressione cieca e inutile.
Durante il dibattito in plenaria e negli eventi laterali a New York, l’Organizzazione mondiale della salute (Oms) ha insistito sulla necessità di privilegiare gli aspetti dell’uso degli stupefacenti legati alla salute, l’Università delle Nazioni Unite ha richiamato la necessità di una valutazione delle strategie in atto, mentre invece, buon ultimo ma per questo non certo meno importante, lo United Nations Development Program (Unpd) considera la guerra alla droga un potente limite allo sviluppo umano ed economico di intere regioni e nei prossimi mesi elaborerà degli indicatori per offrire ulteriori elementi all’ allarme.
Di fronte a tutto ciò, l’Europa continua a mantenere un profilo basso ritenendo che il grosso del lavoro debba esser fatto a Vienna dove l’Ufficio sulle Droghe e il Crimine, (Unodc), continua a non volersi confrontare con questo nuovo scenario di crescenti richieste riformatrici – e non solo perché il direttore è un diplomatico russo. E’ vero che durante l’Ungass l’Unione Europea sarà presieduta dal governo olandese, ma occorre arrivarci preparati per cogliere appieno l’occasione.