Nessun decisivo passo in avanti nella politica globale sulle droghe, ma la war on drugs continua a perdere alleati. Può essere questa la sintesi del Segmento Ministeriale, prima tappa della 62esima Commission on Narcotic Drugs (CND) in corso a Vienna. L’appuntamento Onu ha il compito, a dieci anni dalla Risoluzione del 2009, di valutarne l’esito e riscrivere la strategia mondiale, e ancora una volta sta perdendo l’occasione. Con la nuova Risoluzione rimane invariato l’impianto strategico – eliminazione o sostanziale diminuzione della produzione e del consumo droghe attraverso una politica proibizionista – anche se, in modo schizofrenico, nell’Assemblea si sono succeduti continui interventi sui fallimenti di questo decennio, sul piano dei dati crescenti dei consumi, produzione, danni correlati. L’obiettivo di ripartire dal documento finale di UNGASS 2016 – che apre su diritti umani, salute pubblica, ruolo della società civile – è in parte disatteso: il testo diventa sì uno dei riferimenti delle politiche ONU, ma i suoi contenuti non vengono adottati nella sostanza. Ciò nonostante, vi sono alcune (timide) novità: il riferimento agli obiettivi dell’agenda ONU sullo sviluppo (SDG 2030), che dovrebbero ancorare le politiche sulle droghe a diritti umani, sviluppo sostenibile e diritto alla salute; ma soprattutto, una esplicita affermata flessibilità, laddove uno stato voglia innovare le sue politiche per meglio raggiungere i propri obiettivi: presa d’atto, anche se a denti stretti, di un crescente trend riformista, che a Vienna è ben visibile, grazie ai governi che – dall’America Latina al Canada fino all’Europa- hanno o stanno decriminalizzando, legalizzando o adottando politiche di Riduzione del danno. E che dalle Convenzioni non vengono certo espulsi. I conflitti attorno all’approccio war on drugs sono palesi: l’attesa posizione iperproibizionista di Cina e Russia, in alleanza con i paesi africani e asiatici, contro le proposte decriminalizzanti e di legalizzazione della canapa di America Latina e Canada, o l’adozione di un approccio bilanciato e di riduzione del danno. Su questo punto emblematico sarà, nei prossimi giorni, lo scontro sulla canapa: la Russia è capofila di una proposta di risoluzione contro “il pericolo rappresentato dalla legalizzazione”, e il Canada guida il fronte riformista. Va detto che la posizione dell’Oms sulle proprietà mediche della canapa non è, e non a caso, all’ordine del giorno di questa CND, e slitterà all’anno prossimo. Scontro anche sullo strumento penale: manca nella Risoluzione una decisa condanna della pena di morte per reati di droga, mentre di contro decine di interventi dei governi hanno richiamato alla proporzionalità delle pene, a possibili alternative, alla decriminalizzazione. Spaccato anche lo stesso fronte Onu: debole la Risoluzione nell’includere agenzie quali OMS, Agenzia per i Diritti Umani, UNAIDS, nei processi globali; l’autorevole invito a politiche non centrate sulla repressione del Coordination Task Team delle agenzie ONU a novembre, è stato tacitato, e reso pubblico solo in questi giorni.
E l’Europa? Ha tenuto fede a una posizione unitaria, confermata dagli interventi di tutti gli stati membri: bilanciamento delle politiche a favore di un approccio di salute pubblica, proporzionalità delle pene e forme alternative, rispetto dei diritti umani, coinvolgimento della società civile e politiche evidence based. Un fronte a cui ha aderito anche l’Italia, con l’ambasciatrice presso l’ONU. Almeno, in assenza dei ministri, l’Italia ha per ora evitato di differenziarsi dall’Unione.
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