Leggendo la sintesi della Relazione 2013 al Parlamento sulle tossicodipendenze predisposta dal Dipartimento antidroga, mi è tornata in mente l’affermazione attribuita a Hegel: se la realtà dei fatti non coincide con la teoria peggio per i fatti. Questa espressione è divenuta nel tempo emblema di come l’arroganza ideologica si imponga sulla realtà ridefinendola a proprio piacimento. Questo atteggiamento può valere in molti ambiti della vita sociale, ma lo possiamo ritrovare anche in ambito scientifico quando per i più svariati interessi si decide a priori quale debba essere l’esito di un ricerca manipolando l’impostazione in modo che si arrivi a “dimostrare” quanto voluto.
Anche quest’anno i toni della Relazione sono entusiasmanti: ulteriore calo nei consumi delle varie sostanze nella popolazione in generale. Viene sottolineato con soddisfazione la conferma di un trend in atto già da alcuni anni. Ottimo. Ma da quando assistiamo a questa disaffezione di massa all’uso di sostanze? Dal 2008 ci dice la Relazione, che guarda un po’ è l’anno in cui viene istituito il Dipartimento per le politiche antidroga voluto da Giovanardi, che ne assume la rappresentanza politica e alla cui guida chiama Giovanni Serpelloni nella veste di esperto in materia a cui affida la guida “tecnica”.
Unico fastidioso neo, l’aumento dell’affezione alla cannabis da parte dello scellerato target 15-19 anni, insomma i soliti imprevedibili, curiosi, ostinati, ingestibili adolescenti. La Relazione ci informa che uno su cinque degli studenti delle superiori ha fumato almeno una volta cannabis nel corso dell’ultimo anno. E questo nonostante i poderosi investimenti del DPA. Nonostante decine e decine di interminabili videoconferenze imposte nelle scuole superiori da annoiati esperti stufi di ripetere sempre le solite cose, sui danni al cervello, sulla sindrome amotivazionale, sulla schizofrenia ecc. Nonostante le migliaia di drug-test somministrati a minori, dopo aver sufficientemente spaventato confusi genitori con la storiella che non è mai troppo presto e che è meglio vederci chiaro subito. Nonostante si sia arrivato a scriverlo a caratteri cubitali sulle facciate di importanti monumenti, che chi compra droga finanzia la mafia e ne diventa complice. Niente. Nonostante l’informazione terroristica, il controllo chimico, lo stigma sociale, questi cocciuti adolescenti se ne fregano e, direbbero loro, se la godono. E adesso? Cosa dire? Che carte giocare? Cosa si poteva ancora estrarre dal magico cappello dell’illusionista? Cosa poteva ancora inventarsi il DPA per mantenere alto l’allarme sociale e quindi giustificare la propria esistenza? Ma è evidente: il gioco d’azzardo.
La vera novità della Relazione di quest’anno è l’associazione adolescenza, droga e gioco d’azzardo. Questa ci mancava. In pratica viene evidenziato che gli adolescenti che si fanno le canne (perché a questo si allude) hanno una predisposizione anche per il gioco d’azzardo, almeno nel 41,7% dei casi, in pratica uno su due. Sarà vero o è un altro gioco di prestigio? Poco importa che chi si occupa professionalmente di gioco patologico ci dica che questa relazione non l’ha mai colta, visto che ai servizi si presentano persone solitamente adulte e spesso anche anziane, o che non risulti nemmeno a chi si occupa professionalmente di adolescenti problematici o che usano droghe. Il tema da sventolare buono per ogni occasione, in modo da mantenere alta la preoccupazione sociale, è la salute dei nostri piccoli, indifesi, vulnerabili, insicuri adolescenti (meglio se minori), in balia di social network pericolosi, di siti internet che disinformano e istigano, di un mercato malavitoso pronto a divorarli.