Stati Uniti, Russia, Svezia, Regno Unito ed Italia alla fine di maggio hanno firmato un documento, pomposamente definito come “Stockholm Statement. Dichiarazione internazionale congiunta per una politica umana e bilanciata contro le droghe”. Il gruppo di firmatari non è di quelli che si definirebbero come mentori di politiche avanzate. Molte sono state le occasioni recenti in cui questi paesi hanno fatto convergere i loro sforzi per bloccare l’avvio di politiche moderne e progressive, non basate unicamente sulla repressione. Più volte si sono spesi per criticare Paesi come Svizzera e Olanda, per far cancellare dai documenti il termine Riduzione del Danno, per criticare sperimentazioni considerate pericolose e troppo lontane dall’approccio “unico” (finalizzato alla sola astinenza). Tuttavia, i termini “umano” e “bilanciato” appaiono promettenti. Molti documenti dell’Unione Europea insistono sull’esigenza di approcci bilanciati. E, invece, è proprio un approccio bilanciato di stile europeo e concordato nelle sedi comunitarie a cadere per primo: i tre Paesi della Ue firmatari non hanno sentito l’esigenza di confrontarsi con la Commissione Europea o con gli altri Paesi dell’Europa.
Il gruppo dei cinque dichiara di posizionarsi nel mezzo tra chi propone di legalizzare le droghe e chi persegue l’approccio di “Guerra alla Droga”. Significa che gli Stati Uniti hanno finalmente abbandonato la loro creatura monoliticamente militaresca? Vi è un riferimento all’esigenza di politiche più umane: significa, allora, che la Russia ha rinunciato alla sua politica interna di pura repressione e di rifiuto dei trattamenti con metadone e dei programmi di scambio siringhe, nonostante le decine di migliaia di persone sieropositive? O che ha rinunciato ai massicci arresti per i consumatori di oppioidi? Il documento chiede anche di garantire adeguate disponibilità di farmaci per il sollievo del dolore, la cura e la ricerca. Bene, se non fosse che questo passaggio era già contenuto nella Convenzione sulle Droghe approvata nel 1961 a New York.
L’impressione è di trovarsi di fronte ad un maldestro tentativo di rispondere al crescente successo della Global Commission on Drug Policy, che nel 2011 ha lanciato una piattaforma di riforme in risposta al fallimento della war on drugs; e di appropriarsi di parole d’ordine riformiste in modo da stravolgerne il significato. È questa, dunque, la politica internazionale del Governo Monti e del Ministro Riccardi su questi temi? Abbandono delle politiche concordate in sede europea, asse di ferro con Russia e Stati Uniti, paesi leader delle politiche “dure”?
Recentemente abbiamo presentato al Ministro una serie di richieste molto ragionevoli: celebrazione della Conferenza Triennale sulle Droghe, uno sforzo per superare le mille divisioni, esclusioni e discriminazioni che hanno caratterizzato la precedente gestione, un impegno a limitate modifiche legislative per attenuare la repressione sui consumatori, un’attenzione speciale alla condizione dei tossicodipendenti in carcere, la possibilità di costruire l’ormai prossima Relazione al Parlamento in una forma più collettiva, partecipata. Le risposte sono stati molti non possumus, alcune promesse sul tema del carcere e il rinvio ad un prossimo incontro. Non vorremmo pensare che la risposta più vera sia Stoccolma.