Domani a mezzogiorno presenteremo alla Camera dei Deputati il dodicesimo Libro Bianco che chiude una fase di tre anni di riflessioni intense e disincantate (presentazione on line il 25 giugno ore 10 www.fuoriluogo.it/librobianco2021). Dalla Guerra dei trent’anni iniziata nel 1990, con la legge Iervolino-Vassalli voluta caparbiamente da Bettino Craxi, alla tragedia della pandemia e dei suoi effetti sul carcere, tra emergenza sanitaria e ideologia securitaria.
Il capitolo centrale è rappresentato da una discussione a più voci sulla Conferenza nazionale che in maniera non ancora definita è stata preannunciata dalla ministra Dadone; purtroppo, le anticipazioni del programma sono assai deludenti per i contenuti e per le modalità poco trasparenti della preparazione con consultazioni a senso unico. Dopo venti anni, purtroppo non sappiamo se avremo una sede di confronto tra operatori dei servizi pubblici e privati, scienziati, movimenti di consumatori, con l’ambizione di superare arretramenti culturali assai preoccupanti e di aprirsi al cambiamento che si sta imponendo in tutto il mondo.
Veniamo però al clou del Libro Bianco con la presentazione dei dati sugli effetti voluti, come diciamo da un po’ di tempo, e non più collaterali, della legislazione antidroga sulla giustizia e sul carcere. Anche quest’anno le tabelle sono accecanti. Nonostante il numero dei detenuti entrati in carcere e il numero di quelli presenti siano diminuiti, la percentuale relativa alla violazione dell’art. 73 e ai soggetti qualificati come tossicodipendenti rimangono stabili se non addirittura in aumento. Il 2020 è stato l’anno del lockdown e del crollo delle attività di polizia e giudiziarie, ma la guerra ai “drogati” non si è fermata e vengono confermati i dati drammatici degli anni precedenti: oltre un terzo delle presenze in carcere sono per violazione della legge sulla droga, che ha trasformato una serie di sostanze naturali in merci proibite e oggetto di traffico e affari criminali.
Ci domandiamo come sia possibile che di fronte a una evidenza dei numeri schiacciante, qualcuno ancora parli di sovraffollamento senza indicarne le cause.
Infatti, la parola discontinuità è stata cancellata dal dizionario della politica. Ci aspetteremmo dalla ministra Cartabia non solo uno stile diverso, ma anche la determinazione per aggredire i problemi strutturali che incidono su carcere e giustizia.
Andrebbe messo subito all’ordine del giorno il cambiamento del Dpr 309/90. La proposta è depositata alla Camera e al Senato da più legislature: occorrerebbe percorrere la strada della decriminalizzazione completa del consumo di tutte le sostanze, della legalizzazione della cannabis e della valorizzazione delle buone prassi della riduzione del danno.
Si potrebbe così ipotizzare la liberazione di ventimila detenuti colpiti da un reato senza vittima e si consentirebbe una grande opera di ristrutturazione delle carceri per adeguarle alle norme del Regolamento del 2000: garantire condizioni igieniche e sanitarie accettabili, spazi adeguati per lo studio e per le attività funzionali al reinserimento sociale. Troppo ci si è affidati alle sentenze della Corte costituzionale e della Cassazione, mentre la politica si dimostra assente.
Se non ci fosse il coraggio per aggredire questo bubbone, almeno si dovrebbe approvare subito la proposta Magi in discussione alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati sulla riforma della norma sui fatti di lieve entità previsti dall’articolo 73, quinto comma e sulla coltivazione domestica di cannabis.
Se no, la parola passerà alla disobbedienza civile e a una Conferenza alternativa.
Sabato 26 giugno, nell’ambito della campagna Support! Don’t punish ci sarà un webinar di approfondimento su un’altra grande questione: le sanzioni amministrative per il consumo di droghe. Info fuoriluogo.it/sanzioniamministrative