Il 29 luglio cadeva il quinto anniversario della scomparsa di Alessandro Margara, ricordato da La Società della Ragione e dall’Archivio Margara – come ogni anno – con un seminario ispirato alle sue battaglie di scopo.
Se la toponomastica serve a coltivare la memoria collettiva, lascia increduli che la sua città, Firenze, non gli abbia ancora dedicata una via o una piazza. Le opere e i giorni di Margara lo meritano: magistrato, presidente di tribunale di sorveglianza, capo del DAP, garante dei diritti dei detenuti per la Regione Toscana, è stato «il Basaglia dei detenuti» (così Giovanni Maria Flick, che da Guardasigilli lo volle a capo dell’amministrazione penitenziaria), un «cavaliere dell’utopia concreta» (così Franco Corleone che, da sottosegretario alla Giustizia, con lui varò il nuovo regolamento penitenziario, abrogativo di quello del 1931 improntato alla concezione fascista di una pena esclusivamente punitiva e retributiva).
Chi lo ha avuto compagno di strada ne è stato profondamente contagiato, nell’intelligenza e nell’animo. Lo si percepisce rileggendo le partecipate testimonianze in memoria di Margara – agevolmente reperibili in rete – raccolte dal Consiglio regionale toscano in occasione dei suoi funerali.
Chi invece – come me – di Margara ha incontrato non la parola ma gli scritti e gli atti giudiziari, ne ha comunque un’idea precisa: quella di un giurista costituzionalmente orientato. Prova ne sia un tema prepotentemento tornato alla ribalta: l’ergastolo ostativo, di cui la Corte costituzionale recentemente ha accertato (ma non ancora dichiarato) l’illegittimità, concedendo al Parlamento un anno di tempo per modificarne l’attuale regime (ord. n. 97/2021).
Problema capitale, quello dell’ergastolo senza scampo, che della pena capitale è l’ambiguo luogotenente. Lo aveva capito bene Margara, molto prima di noi. Noi che abbiamo scoperto la variante ostativa dell’ergastolo solo grazie alla narrazione tenace degli «uomini ombra» di cui Carmelo Musumeci ha saputo farsi megafono. Noi che, prima, ne ignoravamo l’esistenza, nonostante fosse sotto i nostri occhi fin dal 1992, quando venne introdotto con decretazione d’urgenza. Margara, invece, è stato capace di pre-vedere ciò che noi non abbiamo visto per troppo tempo.
Risale infatti a ventun anni fa l’atto di promovimento con cui il Tribunale di sorveglianza di Firenze (presidente Margara) chiamò per la prima volta la Consulta a pronunciarsi su un automatismo legislativo che – in assenza di collaborazione con la giustizia – costringe l’ergastolano dietro le sbarre fino alla morte, privato di qualunque misura alternativa alla detenzione inframuraria. Come si fa con le patate bollenti, allora la Corte costituzionale si liberò sbrigativamente della quaestio. La dichiarò manifestamente inammissibile (ord. n. 359/2001), sperando che la perentorietà della formula ne scoraggiasse la riproposizione. Calcolo sbagliato. Evidentemente non conosceva Margara, che confermò tutti i propri dubbi di costituzionalità. Costretta così ad affrontare nel merito la quaestio tenacemente riproposta, la Consulta la respinse come infondata (sent. n. 135/2003), con argomentazioni che, oggi, gli stessi giudici costituzionali hanno definitivamente superato nelle loro più recenti e pertinenti decisioni (nn. 253/2019, 263/2019, 97/2021).
Se il destino dell’ergastolo ostativo è costituzionalmente segnato, lo si deve a quanto allora tracciato – in splendida solitudine – da Margara. Quel sentiero è stato disboscato, allargato e finalmente percorso da giudici competenti, incalzati da una dottrina meno distratta e più consapevole. Sordo il legislatore davanti al monito dell’ord. n. 97/2021, toccherà ai giudici costituzionali pronunciarsi definitivamente nel maggio 2022. Ben sapendo – come ripeteva Alessandro Margara – che «la Costituzione chiede di fare cose difficili».