Qualche giorno fa lo Incb (International Narcotics Control Board), nel suo rapporto annuale, ha criticato alcuni stati del Sud America (Argentina, Brasile e Messico) per aver approvato misure per decriminalizzare l’uso personale di droga: “mandano il messaggio sbagliato”, sentenziano i membri dello Incb.
La notizia ha quasi del grottesco, se si pensa che il compito principale del Board, quando fu insediato come organismo indipendente presso le Nazioni Unite, era di controllare che il regime di proibizione non impedisse l’approvvigionamento a fine lecito di alcune delle sostanze proibite, in particolare degli oppiacei per uso medico. Quanto l’utilizzo di morfina sia ancora largamente al di sotto delle necessità, anche per l’intolleranza e il pregiudizio alimentati dalla proibizione, è noto a tutti, ai malati italiani in prima fila. Il daffare non mancherebbe allo Incb; se non fosse che il Board ha cambiato (di sua iniziativa) la natura della propria missione, assumendo compiti politici invece che tecnici: è diventato il “cane da guardia” della proibizione, con la pretesa di interferire negli affari interni degli stati membri. Finora, lo Incb aveva tuonato contro i paesi europei: come la Svizzera e la Germania, criticate ripetutamente per le “stanze del consumo” e per i trattamenti con eroina, o il Regno Unito, attaccato nel 2003 per la scelta di “declassare” la cannabis fra alcune sostanze meno pericolose.
Quest’anno è la volta dell’America Latina. Dal punto di vista geopolitico, la differenza è enorme. Il Sud America, dove si concentra la produzione mondiale di coca, è stato finora il campo di battaglia della guerra alla droga. Fino a pochi anni fa, era inimmaginabile che il cosiddetto “cortile” degli Stati Uniti, a dispetto dell’intransigente padrone di casa, allungasse il collo oltre oceano per ispirarsi alle politiche “miti” dell’Europa. Eppure, la crescente autonomia politica dei paesi sudamericani si sta misurando anche sulla politica della droga. Nel 2006 il Brasile ha ridotto la carcerazione ampliando le misure alternative; nel 2009, il Messico ha decriminalizzato il possesso di droga per uso personale.
Tanto si allarma lo Incb, dal suo ristretto orizzonte di guardiano, da criticare non solo le scelte dei governi, ma perfino quelle della Suprema Corte argentina: colpevole, nell’agosto 2009, di aver dichiarato incostituzionale la punizione del consumo di canapa. Che un pugno di illustri ignoti si permetta di entrare nel merito delle sentenze della più alta corte di uno stato sovrano, la dice lunga sull’arroganza e sull’autoreferenzialità delle burocrazie internazionali. E tuttavia il Board è nel giusto quando cita (con apprensione) il “crescente movimento per depenalizzare il possesso delle droghe sottoposte a controllo”. A testimoniare la forza del movimento, è da un lato la posizione della Bolivia, che nel 2008 ha inserito nella sua costituzione la masticazione della foglia di coca come patrimonio culturale del paese; dall’altro, il recente rapporto della Commissione Latino Americana su “droghe e democrazia”, promossa dallo ex presidente del Brasile, Fernando Cardoso, della Colombia, Cesar Gaviria, del Messico, Ernesto Zedillo (cfr. Pien Metaal, Manifesto,20/5/09). Al di là delle proposte concrete di riforma che il rapporto avanza, fra cui la depenalizzazione del consumo personale, la prospettiva politica è radicalmente nuova. “E’ imperativo correggere la strategia della war on drugs che è stata perseguita negli ultimi trenta anni” – recita la dichiarazione iniziale del documento. E ancora: “Le politiche proibizioniste basate sullo sradicamento della produzione, sul contrasto alla distribuzione, sulla criminalizzazione del consumo non hanno dato i risultati sperati. Siamo oggi lontani più che mai dall’obbiettivo annunciato di eliminare le droghe”.
Finora, gli organismi Onu preposti alla politica delle droghe, invece di essere una sede di confronto alla ricerca di soluzioni efficaci, sono stati i paladini della “guerra alla droga” voluta dagli Stati Uniti. Le burocrazie Onu hanno legato le loro sorti a questo conflitto. Adesso che le truppe di prima linea minacciano di deporre le armi, i burocrati si sentono minacciati. E sbraitano scomposti, come sempre più realisti del re.