La Relazione Annuale al Parlamento 2017 sullo stato delle tossicodipendenze, uscita nel pieno d’agosto, conclude la parabola di “tecnicizzazione” di tale documento. Come si ricorderà, la presentazione della Relazione è un adempimento previsto dalla legge antidroga, con l’intento di fornire ai parlamentari, e più in generale ai policy maker, uno strumento di valutazione delle politiche sulla droga. Un documento di orientamento politico, dunque. Non a caso, l’obbligo di riferire al Parlamento fu introdotto nel 1990, ai tempi della svolta punitiva, che tanti dubbi e opposizioni suscitò, nel Parlamento e nel Paese. Valutare le politiche antidroga è sempre stato difficile, per l’approccio squisitamente moralistico-ideologico della “lotta antidroga”. E infatti, negli anni, le Relazioni al Parlamento sono state perlopiù assai carenti nell’offrire strumenti di lettura delle strategie messe in campo. E tuttavia non è mai mancata un’introduzione del responsabile governativo di turno, a evidenziare le indicazioni politiche. Ciò fino a qualche anno fa, quando detta introduzione è venuta meno, pur rimanendo la presentazione ufficiale in capo a un rappresentante governativo (l’anno scorso toccò alla ministra Boschi). Quest’anno, anche l’ultimo simbolo di responsabilità politica è svanito. Quasi fosse un Report rilasciato da un Istituto di ricerca, la Relazione si apre con un Executive Summary, che esplicita l’intento puramente tecnico descrittivo, di “offrire un’istantanea della situazione delle droghe in Italia”.
Si badi: la “tecnicizzazione” di questioni politiche, oggetto in precedenza di confronto e dibattito fra i cittadini, è fenomeno dei nostri tempi, che rinvia al cuore stesso della crisi attuale della democrazia (si pensi alla magistrale critica alle tecno-burocrazie dell’Europa dell’austerità, offerta da Yanis Varoufakis nel libro “I deboli sono destinati a soffrire?”). Nel suo piccolo, la Relazione mostra gli effetti di questo processo, se solo la si paragona alla versione dello scorso anno. Allora, la parte introduttiva sull’Assemblea Generale Onu (Ungass 2016) aveva offerto, pur con dei limiti, la cornice del confronto globale sulla politica delle droghe e sul posizionamento dell’Italia (cfr. Rissa, Manifesto, 25/1/17). C’era inoltre un ampio capitolo sulla Riduzione del danno quale “quarto pilastro” della politica sulle droghe, frutto del confronto con l’associazionismo, attivato nel corso del 2016 dal Dipartimento Antidroga.
Niente di tutto ciò nell’edizione 2016. Il contesto internazionale è venuto meno. Così, una questione chiave come le politiche in movimento sulla cannabis (legalizzata in ben otto stati americani, fra cui quello strategico della California) non è neppure nominata. E bisogna sfogliare la Relazione Europea 2017, per scoprire, fra i policy issues, la domanda cruciale: “Quali implicazioni comportano per l’Europa gli sviluppi internazionali sulla politica della cannabis?”. La scomparsa più sconcertante riguarda però la Riduzione del danno, quasi affatto nominata. Come interpretare questo vuoto a fronte delle precise indicazioni operative presenti nella Relazione 2016? Che cosa è stato fatto per sviluppare la Riduzione del danno, che cosa è stato accantonato, che cosa resta da fare? Non lo sappiamo. In conclusione: la lettura della Relazione 2017 riconferma l’urgenza di convocare la Conferenza Nazionale sulle droghe e bene hanno fatto le Ong che sul punto hanno avanzato diffida formale al governo.
La tecnicizzazione tuttavia comporta qualche vantaggio, va detto. Sono da apprezzare gli sforzi di comunicazione e di chiarezza, che fanno della Relazione 2017 un documento comprensibile, a differenza del passato. In virtù di ciò, abbiamo conferma degli effetti di criminalizzazione della legge antidroga (trovando riscontro ai dati forniti dal Libro Bianco 2017). Ripartiamo da qui.