Nello scenario di crescenti fermenti riformisti nelle Americhe, l’Uruguay ha scelto per la politica delle droghe la via radicale: il 31 luglio scorso, la Camera dei rappresentanti ha approvato la regolamentazione legale della cannabis. Ora la legge passa al Senato, dove la maggioranza ha numeri anche più favorevoli. Se, come sembra probabile, il provvedimento sarà definitivamente approvato e firmato dal presidente José Mujica, che lo ha sempre sostenuto, l’Uruguay sarà il primo paese al mondo a creare un sistema di regole per la produzione, la distribuzione e il consumo di marijuana. E il primo a sperimentare un’alternativa al regime proibizionista globale. Secondo il disegno di legge, lo stato può autorizzare privati a coltivare la cannabis su larga scala, per la distribuzione nelle farmacie. Così come i singoli cittadini potranno coltivare fino a sei piantine per uso personale. L’aspetto più interessante riguarda la promozione di club di produttori/consumatori fino a un massimo di quarantacinque membri, con autorizzazione alla coltivazione fino a 99 piantine. La norma si ispira all’esperienza dei piccoli Cannabis Social Club spagnoli, che non hanno fine di lucro e promuovono la condivisione fra i membri di regole per l’uso sicuro e autocontrollato. Anche il limite di acquisto di 40 grammi al mese per ogni consumatore risponde a finalità di salute pubblica.
L’iniziativa dell’Uruguay non è isolata, né sul piano nazionale né su quello internazionale: il paese aveva già abbandonato la “linea dura”, depenalizzando l’uso personale e dando la priorità all’azione contro il grande traffico(cfr. F. Corleone, Manifesto 13/4/11). Soprattutto, essa segue a ruota gli stati americani del Colorado e di Washington, i cui cittadini hanno approvato i referendum per la legalizzazione della marijuana a fine ricreativo nell’Election Day del novembre 2012: un passo deciso di smantellamento della proibizione, dopo che in ben 18 Stati erano stati vinti negli anni scorsi i referendum per l’uso della marijuana a fine medico.
Il passo dell’Uruguay è stato preparato dal new deal sulle droghe all’interno della importante Organizzazione degli Stati Americani (Oas), che riunisce i paesi del Nord e del Sud America. Da alcuni anni, i paesi sudamericani hanno cominciato a manifestare preoccupazione e insofferenza per le gravi conseguenze della guerra alla droga, che grava sulle loro spalle come paesi produttori. Ma l’egemonia statunitense aveva sempre impedito che il malcontento si trasformasse in iniziativa politica di denuncia dei danni della proibizione e soprattutto in ricerca di alternative a quel regime. Questo fino al maggio 2012, quando nell’annuale riunione dei capi di stato in sede Oas fu finalmente posto all’ordine del giorno il fallimento della guerra alla droga, commissionando alcuni studi per affrontare in maniera nuova la questione. Si giunge così nella primavera scorsa alla presentazione del rapporto Oas Scenarios for the drug problem in the Americas 2013-2025, che disegna le possibili scelte politiche, a livello nazionale e internazionale, mettendo in campo il “ cambiamento delle legislazioni nazionali o dei trattati internazionali”. Recita il rapporto: “vanno valutati i segnali e le tendenze presenti che vanno verso la decriminalizzazione o la legalizzazione della produzione, vendita e consumo della marijuana”. “Presto o tardi-conclude il documento- bisognerà prendere delle decisioni in merito”.
Ebbene, l’Uruguay queste decisioni le ha prese. Col pieno supporto del segretario generale dell’Oas, José Miguel Insulza, che in visita in Uruguay poco prima del voto parlamentare, aveva dato semaforo verde.