Nel 2019, è previsto il cosiddetto “segmento ministeriale” della Commission on Narcotic Drugs (Cnd), l’organismo delle Nazioni Unite che governa le politiche globali sulle droghe. I responsabili politici degli Stati Membri sono chiamati a valutare gli indirizzi di contrasto alla droga stabiliti dieci anni fa, nel Piano d’Azione e nella Dichiarazione Politica varati nel 2009, in analogo summit; peraltro convocato per valutare gli impegni presi dieci anni prima, all’Assemblea Generale Onu del 1998. Queste scadenze decennali sono state finora poco più di un rituale di celebrazione della “lotta alla droga”, senza alcuna seria verifica pragmatica. Dal 1998 a oggi, gli obiettivi sono rimasti gli stessi: “eliminare o ridurre significativamente la coltivazione illecita di oppio, coca e cannabis”, nonché “la domanda di droghe illecite”. Quanto alla “valutazione”, essa consiste semplicemente nell’enumerare le azioni intraprese, guardandosi bene dal riflettere sull’efficacia, gli esiti, le eventuali conseguenze negative delle stesse. Si noti: gli strumenti tecnici destinati a orientare i decisori politici (in Italia la Relazione annuale al Parlamento), sono allineati a questa tendenza: nel capitolo “riduzione dell’offerta di droga”, ad esempio, sono elencate le operazioni antidroga, insieme ai procedimenti penali relativi; guardandosi bene dal considerare i risultati di questo enorme investimento nella repressione rispetto all’obiettivo di “eliminare o significativamente ridurre l’offerta e la domanda di droga illecita”.
Tuttavia, in questi anni passi avanti importanti sono stati fatti ad opera della società civile. Ne è testimonianza il “Rapporto Ombra” (Taking stock: a decade of Drug Policy) di International Drug Policy Consortium: che, sulla base dei dati ufficiali dell’Onu, fa quello che i governi non hanno mai fatto: valutare le politiche rispetto agli obiettivi prefissati. Non è questo però l’aspetto più interessante del Rapporto Ombra, anche perché il fallimento degli obiettivi tradizionali è di immediata evidenza. Innovativa è invece la riflessione sull’inadeguatezza degli obiettivi tradizionali, cercando di adeguarli in considerazione delle priorità generali delle Nazioni Unite: cioè la tutela dei diritti umani, la promozione della pace e della sicurezza, il sostegno allo sviluppo. Rispetto alle politiche antidroga, il campo dei diritti umani è uno dei più critici: basti pensare alle 3940 esecuzioni di condanne a morte per reati di droga negli ultimi dieci anni. Così come il diritto alla salute: solo una persona su 100 assuntori per via iniettiva vive in un paese dove può ricevere siringhe pulite e trattamenti adeguati con metadone. Gli obbiettivi devono perciò essere ricalibrati, spostando l’attenzione dalla sola droga (e dalla sua riduzione) al benessere e ai diritti delle persone e delle comunità.
Un progetto simile allo Shadow Report, su scala nazionale, è il Libro Bianco annuale sull’impatto della legislazione antidroga, promosso da un gruppo di Ong. Da anni, il Libro Bianco, sulla base dei dati ufficiali, testimonia quanto la legge e la sua applicazione scarsamente rispettino il principio di proporzionalità nelle pene: i dati 2017 (confermati dall’ultima Relazione al Parlamento) dimostrano l’eccesso punitivo in quel 29,4% di persone che entrano in carcere per la legge antidroga e nel 30% di ingressi di tossicodipendenti. La repressione si concentra sui “pesci piccoli”, la gran parte dei quali subisce la carcerazione preventiva (71%). Un sistema equo e proporzionato dovrebbe puntare i reati di violenza (violent crimes), derubricando a reati minori quelli non violenti, da punirsi con pene non detentive.
Sugli obiettivi e sulla valutazione delle politiche la società civile lancia una sfida, a livello nazionale e internazionale.