Lo scorso 20 aprile, giornata mondiale sulla cannabis, è stato anche il giorno dove in Germania é deflagrata una notizia bomba ripresa dal quotidiano Die Welt e altre testate della Repubblica federale. La notizia viene dal tribunale distrettuale di Bernau, una piccola città del Brandenburgo, a pochi chilometri da Berlino dove il giudice minorile Andreas Müller noto per la sua intransigenza sulla violenza domestica e nei confronti dei neonazisti, ha bloccato due processi per possesso di cannabis e ha inviato una questione di costituzionalità di ben 160 pagine.
Come sostiene l’Hanfverband, la più importante organizzazione pro-cannabis, è accertata l’incapacità della Grosse Koalition di cambiare le leggi anticannabis. Appellandosi alla Corte costituzionale di Karlsruhe, Müller contesta radicalmente le attuali leggi e invita i colleghi a bloccare i processi seguendo il suo esempio nell’ambito di una offensiva di giustizia lanciata dal movimento. Nel caso di Bernau si tratta di due procedimenti penali, di cui lo stesso Müller é tuttora titolare, per possesso di minime quantità di cannabis. Una pratica che interessa ogni anno 200.000 tedeschi e che si risolve con il proscioglimento in giudizio ma con pesanti conseguenti amministrative come il ritiro della patente.
Andreas Müller si è appellato all’articolo 100 della Costituzione tedesca e che prevede la sospensione del giudizio in casi di dubbio di legittimità costituzionale, questione che sarà valutata nei prossimi mesi.
Si tratta di casi di lieve entità, che però a livello globale riguardano milioni di persone che sono spesso sottoposte ad ogni tipo di vessazioni e violenze. Richiamando l’interpretazione dell’intellettuale tedesco Hans Magnus Enzensberger nella introduzione del suo celeberrimo Politica e Terrore, è piuttosto evidente la struttura tautologica delle correnti definizioni di “crimine“.
Secondo Enzensberger la definizione di “crimine” in questo contesto rimane una tautologia completamente reversibile anche considerandola in termini assoluti: “ciò che è punito é un crimine e ciò che è un crimine è punito; tutto ciò che è punibile merita di esser punito e viceversa.” Su questo punto è chiaro che il crimine viene dall’alto. Da apparati di potere di retrogusto razzista e classista.
Pochi giorni prima il presidente di Magistratura democratica aveva commentato per la rubrica di Fuoriluogo su Il Manifesto la decisione assolutoria delle Sezioni Unite della Cassazione rispetto alla piccola coltivazione domestica di cannabis. A questo punto dovrebbe essere la politica a superare l’attuale paradigma obiettivamente arbitrario che confonde legge e morale. Anche considerando come in Italia è importante l’implementazione di principi di legalità non astratti che prevedano il superamento dell’attuale situazione di schiavitù e di arbitrio in cui sono ristretti nel mondo molti lavoratori agricoli e i consumatori controllati di sostanze psicoattive.
A tutti e tutte va garantita la salute e la libertà ora resa impossibile dall’attuale regime proibizionista e schiavista.
Queste proposte sono delle premesse irrinunciabili e strettamente interconnesse ai fini di una vera rivoluzione da attuare nel nostro paese e dovranno passare inesorabilmente attraverso l’abolizione dei decreti sicurezza di Matteo Salvini, la regolamentazione controllata di tutte le sostanze psicoattive, la garanzia dei livelli essenziali di assistenza, accompagnate dalla regolarizzazione di tutte le persone presenti sul territorio nazionale anche ai fini del rilancio delle nostre culture e colture.
Su tutto deve prevalere il principio della libertà di coltivare cannabis a livello personale e collettivo accanto – e non opposta – alla regolamentazione della coltivazione commerciale simile alla legislazione su birra e vino.