Al termine di un processo durato oltre 2 anni la 63esima sessione Commission on Narcotic Drugs (Cnd) dell’Onu, riconvocata dal 2 al 4 dicembre, ha ufficialmente riconosciuto il valore terapeutico della cannabis. Ha infatti modificato quelle che sino a ieri erano le granitiche classificazioni della convenzione del 1961, eliminando la cannabis dalla tabella IV, quella delle sostanze a rischio particolarmente forte di abuso e senza alcuna utilità terapeutica. La cannabis rimane nella tabella I, quella delle sostanze pericolose. Pur parziale e risicato è stato un voto storico.
PER LA PRIMA VOLTA la Cnd, 27 voti a favore, 25 contrari e 1 astenuto, ha derubricato una sostanza presente nelle convenzioni, rompendo un tabù di quella “chiesa della proibizione” di cui ha scritto tempo fa Peter Cohen (Fuoriluogo, maggio 2003). Anche per questo, la bocciatura delle restanti 5 raccomandazioni (su ricollocazione nelle varie convenzioni, estratti e tinture e Cbd) assume un valore molto relativo, rimanendo agli atti le osservazioni scientifiche dell’Oms e la valutazione tutta politica di queste, espressa nel voto dei paesi membri della Cnd.
La cannabis non sarà quindi più soggetta alle «misure speciali di controllo» previste per le sostanze presenti in tabella IV. Sarà possibile per tutti i paesi introdurre legislazioni per sostenere la ricerca e per la sua produzione e uso medico senza più l’alibi della sua presenza nella tabella più vincolante della convenzione sugli stupefacenti.
È STATO UN PROCESSO complicato: dalla presentazione ufficiale da parte dell’Oms, rimandata di un mese, ai due rinvii alla Cnd che facevano presagire un tentativo di far saltare il voto.
È rarissimo che il parere scientifico dell’Oms arrivi in aula per uno scrutinio, e non approvato all’unanimità. Pesava la ferma opposizione, tutta ideologica, di Russia e Cina e di molti paesi asiatici ed africani. Nella conta finale è stato determinante il parere positivo dell’Unione Europea, Italia inclusa, che ha votato a favore di 4 delle 6 raccomandazioni. Non farebbe notizia la defezione dell’Ungheria, se non fosse che si è allontanata dalla prassi dell’Ue di votare all’Onu conformemente alle decisioni prese in sede europea.
La decisione della Cnd è il primo cambio di rotta nel sistema internazionale del controllo delle sostanze stupefacenti. È importante perché è caduto un tabù, quello sulla cannabis. Ieri la massima autorità sanitaria mondiale è riuscita a convincere la culla della guerra alla droga, che la cannabis non è la «pianta del demonio», bensì una risorsa terapeutica. Se è evidente che il vento ideologico del proibizionismo soffia ancora forte, lo è altrettanto che la rotta per la riforma è ormai alla prossima boa.
È UNA VITTORIA delle associazioni della società civile, che a livello nazionale, europeo e globale hanno lavorato per questa svolta. Associazione Luca Coscioni, Forum Droghe, la Società della Ragione e Drcnet nel maggio 2018 avevano depositato all’Oms una memoria sull’esperienza allora decennale della cannabis terapeutica in Italia. Il governo italiano non presentò niente. Le stesse associazioni hanno poi presentato in questa sessione un documento firmato da un centinaio di ong internazionali, a sostegno dell’approvazione delle raccomandazioni.
COSA CAMBIA PER L’ITALIA? In primis non ci sono più scuse per non completare il quadro normativo e allo stesso tempo ampliare la produzione italiana di cannabis terapeutica. A partire dagli impegni che lo Stato si prese a fine 2017 nel decreto fiscale: è ben lontana dall’essere realtà la triplicazione della produzione di cannabis terapeutica a cura dell’Istituto Chimico Farmaceutico di Firenze, mentre nulla sappiamo dell’apertura della produzione nazionale ai privati, ormai indispensabile, della formazione del personale sanitario e della copertura dei costi per i pazienti da parte del Servizio Sanitario Nazionale.
Da mesi, anche con un digiuno a staffetta che ha raggiunto i 300 aderenti, la Società Civile ha chiesto di non fare passi indietro, come adombrato da inopinate circolari e curiosi decreti ministeriali che hanno messo in crisi pazienti, medici e farmacisti italiani.
Ora la politica deve fare il suo.