E’ entrato nel vivo la scorsa settimana il processo contro Luca Marola, un procedimento che partendo dal sequestro di oltre mezza tonnellata di canapa a basso contenuto di THC a Easyjoint, si configura come un vero e proprio processo contro la cannabis light. Si tratta infatti di un impianto accusatorio basato sulla criminalizzazione della pianta di canapa, ed in particolare dell’infiorescenza, la cui produzione, distribuzione e vendita – ma a questo punto anche il sui possesso ed uso – viene ricondotto al Testo Unico sugli stupefacenti, con le relative pene, anche in presenza di una quantità minima di principio attivo stupefacente.
Abbiamo incontrato Luca Marola per farci raccontare come è andata la prima udienza del dibattimento, che ha visto sfilare i teste dell’accusa.
FL Luca come è andata questa udienza?
Era la prima vera udienza e quindi provavo la stessa ansia che si prova prima di un esame in cui si è studiato così così… A parte la sensazione, penso che sia andata bene. Era un’udienza caratterizzata dall’ascolto dei testimoni dell’accusa con lo scopo di “puntellare” la teoria della Procura ma, alla fine, con nostro grande stupore, questo non è avvenuto. Al contrario, le testimonianze portate in aula dall’accusa sono tutte, chi più, chi meno, utili per la mia difesa.
FL Alla fine qual è l’accusa nei tuoi confronti?
L’accusa è la violazione dell’articolo 73 del Testo Unico sugli Stupefacenti. Fuori dal codice significa spaccio. Per l’accusa la commercializzazione all’ingrosso e al dettaglio di infiorescenze di canapa industriale con un THC sempre inferiore allo 0,6%, nel mio caso soprattutto sotto lo 0,2%, configura il reato di spaccio. Per l’accusa, prima volta in Italia che si prova questo “teorema” accusatorio, la vendita di fiori di canapa è illegale se la finalità è il consumo privato e rientra sotto la legge sugli stupefacenti.
FL Quindi sostanzialmente rischi la pena dai 2 ai 6 anni. Come avete impostata la difesa?
Noi sosteniamo che una sostanza che non droga non è droga e non può essere trattata come tale. Sembra grottesco ma questo è. L’accusa, per dimostrare che la cannabis light è droga, ha prodotto oltre 7600 pagine di indagine ed intercettato centinaia di conversazioni telefoniche, sequestrato e distrutto l’intero mio magazzino (649 kg di infiorescenza), cancellato la mia società e sequestrato il sito internet ed addirittura la mia casella di posta; noi porteremo come testimoni la Scienza: ricercatori, studiosi, autori di testi scientifici per dimostrare in aula quello che ai più sembra ovvio, ossia che una sostanza senza capacità drogante in concreto, per usare una definizione della Cassazione, non è droga.
FL Questo per molti è un processo fondamentale per il futuro della canapa in Italia, ci puoi spiegare perchè?
Perchè viene testato per la prima volta un nuovo strumento per reprimere il fiore di canapa in modo generalizzato. Fin dal 2017 la macchina della repressione si è messa in moto per ostacolare il fenomeno agricolo, imprenditoriale, narrativo e politico della cannabis light. Prima sguinzagliando i NAS in tutti i negozi per l’etichettatura “non conforme”. Ed han perso. Poi trascinandoci davanti all’Autorità Garante del Commercio ed han perso. Poi con i sequestri in tutta Italia basati sul tenore del THC e nella maggior parte dei casi han perso perchè spesso il prodotto veniva dissequestrato e non si è arrivati a nessun rinvio a giudizio. Ora, se un giudice accoglie il nuovo teorema che consiste nel considerare alla stregua di uno stupefacente la canapa che non viene commercializzata per una delle tassative sei destinazioni d’uso previste dalla legge, potrebbero arrivare ad avere un nuovo strumento in mano, che bypassa il quantitativo di THC, capace di spazzare via tutto. Se vinco si fa finalmente chiarezza su cosa sia lecito, a beneficio di tutto il settore; se perdo, dal giorno dopo quello che è già stato definito il “modello Parma” verrà adottato nel resto d’Italia.
Un processo che ha dei costi considerevoli. Per aiutarti nel sostenerli hai lanciato un crowdfunding, perchè?
Già l’inchiesta ha avuto i suoi costi che nessuno mi risarcirà: tutto il magazzino, per un valore commerciale di 2 milioni di euro, distrutto e una società che non lavora da 3 anni e che mai potrà più tornare in attività perchè è stata inibita definitivamente a commercializzare infiorescenze di canapa all’ingrosso. E poi i costi del processo e del collegio di difesa. Si parla di un minimo di 40.000 euro. Come è spesso accaduto in questa storia della cannabis light mi trovo ancora una volta ad essere in prima fila ma, così come molti hanno beneficiato della mia intuizione e della nascita del fenomeno della cannabis light, molti beneficeranno dall’esito positivo di questo processo. Per questo vorrei condividere non solo le sorti ma anche gli oneri di una vicenda che avrà un forte impatto su tutti gli operatori del settore, commercianti, attivisti, aziende agricole, laboratori di analisi, agronomi. In tanti stanno dimostrando concretamente solidarietà. Lo strumento finora messo a disposizione è la piattaforma del crowdfunding. Invito tutti a condividerlo ma, soprattutto, a donare. https://www.ideaginger.it/progetti/cannabis-leggera-processo-pesante.html