La condanna di primo grado a tre anni e mezzo va confermata e gli imputati non hanno diritto nemmeno al riconoscimento delle attenuanti generiche, perché “non si rinvengono elementi tali da giustificare il loro comportamento”.
Chiude così la sua requisitoria davanti alla Corte d’Appello di Bologna il procuratore generale Miranda Bambace, puntando il dito contro la violenza operata dai poliziotti Enzo Pontani, Paolo Forlani, Monica Segatto e Luca Pollastri contro il diciottenne Federico Aldrovandi.
Il processo d’Appello per omicidio colposo che sta per concludersi vede i quattro agenti intervenuti in via Ippodromo a Ferrara la notte del 25 settembre 2005 condannati in primo grado per omicidio colposo. “Si potrebbe forse parlare di dolo eventuale” aveva azzardato nella prima fase della requisitoria l’accusa, considerando nel corso della passata udienza la sproporzione tra le forze contrapposte, i quattro poliziotti armati di manganello (di cui due si ruppero) e un ragazzo inerme, e il ritardo colpevole nel chiamare un medico prima e l’ambulanza dopo la colluttazione.
Nel corso delle indagini e del dibattimento, in particolare in sede di esame nel corso del quale avrebbero raccontato “una versione poco credibile dei fatti”, i quattro poliziotti secondo il pm “non hanno permesso di ravvisare in loro nessun atteggiamento di autocritica”. Anzi, “fin dalle fase immediatamente successive all’omicidio del ragazzo” si sarebbe assistito a una “realtà alterata” con riguardo alle cause della morte (in un primo tempo si parlò di malore, in seguito di overdose) e alla dinamica dei fatti (cadde subito l’ipotesi di “un pazzo scatenato che sbatteva la testa contro i pali”).
Quanto alla sindrome da delirio eccitato sostenuta dalle difese per ipotizzare un decesso improvviso dovuto ad assunzione di stupefacenti a stato di alterazione psicofisica, la Bambace sottolinea che “non c’è alcun riscontro degli atti a questa ipotesi, mancano atti di autolesionismo del ragazzo, mancano evidenze medico scientifiche e non c’erano patologie in atto nel ragazzo. E soprattutto, Aldrovandi, non era un tossicodipendente”.