Non esiste una scienza esatta a quanto pare per dirci se il metodo di intervento degli agenti e le droghe assunte da Federico Aldrovandi la sera della sua tragica morte hanno avuto un effetto preminente nell’insieme di concause che hanno portato al decesso del 18enne in via Ippodromo.
Quasi tutta la 18° udienza tenutasi ieri è stata concentrata sulle sostanze trovate nel sangue di Federico: ketamina, morfina e alcol. Il primo a essere chiamato al banco dei testi per cercare di riannodare il filo delle ipotesi è Francesco Maria Avato.
Il medico legale di Ferrara sostiene la tesi già enucleata nelle conclusioni della consulenza che gli fu affidata dalla procura: “una specifica costrizione in posizione prona di una persona adulta con pesi sulla schiena non portano a una significativa variazione di tasso di ossigeno”, assicura Avato, citando in letteratura scientifica gli esperimenti di Cina, che mostrano una casistica che contempla però appena il5/10% di casi mortali. E comunque quella piccola percentuale è accompagnata sempre da altri fattori.
“Una patogenesi discussa e una interpretazione unilaterale del meccanismo della contenzione non è ancora data”, si giustifica Avato, che passa quindi a chiarire in astratto come “un’eventuale difficoltà respiratoria di un soggetto prono ammanettato dietro la schiena poteva essere evitata con qualche manovra”
“Se soggetto già in condizione respiratoria precaria, questa posizione non lo facilita – spiega il medico -. Per facilitarlo, andrebbe girato su un fianco o messo supino”.
Quanto agli stupefacenti, secondo il consulente la loro eventuale idoneità a provocare la morte va presa in considerazione a livello di effetto sinergico tra le sostanze, ribadendo come già aveva affermato la dottoressa Lumare in una precedente udienza, che “il dosaggio di morfina nel sangue di per sé solo può causare la morte in astratto (ma secondo la perizia torinese la concentrazione di morfina nel sangue è di gran lunga inferiore a quanto osservato dalla medicina legale di Ferrara, ndr).. Ma qui vanno tenuti in conto altri elementi, come la ketamina che può dare depressione respiratoria anche a dosi basse”.
Incalzato dagli avvocati di parte civile Avato ammette che “in caso di compressione dell’addome aumenta il rischio di ipossia, ma il contenimento non può essere causa esclusiva di mancanza di ossigeno”.
Tocca quindi a Manuela Licata, tossicologa della Medicina legale di Modena, consulente di parte civile, spiegare il perché i valori di droga nel sangue di Federico sono risultati diversi nelle due occasioni in cui si è passati ad analizzarli. A Ferrara vennero trovati 360 nanogrammi per millilitro di morfina e 60 di ketamina; a Torino 26 di morfina e di ketamina nemmeno l’ombra.
“La differenza – premette la consulente – non può essere spiegata unicamente con un fenomeno degradatorio della morfina, che al massimo può toccare una perdita del 24% (molecola stabile). A Torino sono stati fatti due tipi di analisi partendo da principi diversi arrivando allo stesso risultato, una garanzia quindi di attendibilità”.
In base alle conclusioni torinesi, quindi, la tossicologa si sente in grado di poter dire che “l’alcol dal punto di vista sinergico non può aver avuto nessun effetto; la ketamina, per poter giocare un ruolo nella morte di un soggetto sano, dovrebbe superare i 7mila nanogrammi (il quantitativo trovato a Torino è addirittura inferiore anche ai 70 nannogrammi per litro, ndr) in associazione con 1,7 grammi di sangue per litro. Nel caso di Federico è stata quindi assolutamente ininfluente”.