Mentre Patrizia Moretti promette di chiedere al Capo dello Stato di far estromettere dalle forze dell’ordine chi si macchia di gravi crimini (vai all’articolo), il suo avvocato Fabio Anselmo – che assiste anche le famiglie Cucchi e Uva – torna sull’argomento, considerando che “il problema esiste: è quello del’esercizio democratico della forza da parte di chi lavora per lo Stato e il controllo su tale corretto esercizio. Si tratta di un fondamento ineludibile di ogni stato democratico e civile”.
Fuori dall’aula c’è anche Stefano, il fratello minore di Federico. Si concede malvolentieri ai cronisti. Preferirebbe non dire nulla, come ha fatto fino ad oggi. “È il secondo passo verso la giustizia per mio fratello – sono le parole che concede -. Sono felice nei limiti del possibile, perché lui non è qui”.
E mentre i suoi famigliari si abbracciavano nel cortile del palazzo di giustizia, Lino Aldrovandi era rimasto solo in aula. Addosso ha il vestito nuovo che ha tenuto apposta per questa occasione. È ancora confuso, con gli occhi lucidi. Non c’è bisogno di chiedergli a chi sta pensando. “Abbiamo ricevuto oggi l’ultima carezza di Federico – dice sottovoce -; si sta male, perché mio figlio non potrà ritornare nemmeno dopo questo giorno. Ringrazio comunque tutti coloro che ci hanno sostenuto in questo cammino”. E l’elenco è lungo: dal semplice cittadino all’ex sindaco Gaetano Sateriale, “il primo a chiedere pubblicamente che fosse fatta luce sulla vicenda”, fino al pm Nicola Proto e al giudice Caruso.
Lino risponde anche a distanza ai leali della difesa che annunciano il ricorso al terzo grado di giudizio. “Vadano pura in Cassazione – scuote le spalle -; questa è la verità processuale. Io non ho mai accusato nessuno, ho chiesto solo di accertare cosa successe quella maledetta notte”.
Un breve commento arriva anche dalla procura di Ferrara. Interpellato telefonicamente, il portavoce “prende atto con soddisfazione della conferma della sentenza”.