“Buongiorno, scusi, io abito in via Ippodromo, proprio davanti al parco c’è uno che sta andando in escandescenza, sta urlando come un matto e sbatte dappertutto, io me se non accorta adesso perché sto andando a lavorare e dovrei uscire […]. Non ho capito se sono uno o in due perché sono nascosti dagli alberi”. Sono circa (“più o meno”) le 5 di mattina quando Cristina Chiarelli, spaventata, chiama i carabinieri perché vede Federico Aldrovandi “molto agitato”, “urlare e imprecare contro qualcosa”.
Ieri la teste ha deposto davanti al giudice Francesco Maria Caruso durante la terza udienza del processo che vede imputati Paolo Forlani, Enzo Pollastri, Luca Pontani e Monica Segatto per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi. Oltre a lei hanno parlato amici e conoscenti di Federico, e altri residenti di via Ippodromo che avrebbero visto o sentito qualcosa la notte in cui il giovane perse la vita.
Quella della Chiarelli è la prima telefonata che arriva al 112 quella tragica mattina. Proprio in coincidenza di questa telefonata ci fu una delle prime discrepanze emerse nella vicenda Aldrovandi. Si ricorderà che nell’immediatezza della tragedia la questura parlò di una chiamata al 112 nella quale si riferiva di un “individuo che in via Ippodromo urlava frasi sconnesse e colpiva alcuni pali della luce con il capo”. Circostanza smentita dalla stessa teste.
Dopo la testimonianza della donna è stato il turno di un’altra decina di residenti, citati davanti al giudice Caruso per raccontare quanto hanno visto o sentito quella mattina del 25 settembre 2005.
Tra questi Lucia Bassi, entrata nella lista dei testi per via di un’amica che aveva riportato alla trasmissione Chi l’ha visto? di averla sentita descrivere la scena di quella notte. In udienza la donna ha solo riferito di aver visto il giovane dalla cintola in giù disteso prono. Sopra di lui un poliziotto che cercava di mettergli le manette e la poliziotta chiedergli come si chiama. “Federico”. “Figurati se si chiama Federico”. Queste le frasi ascoltate nel buio della strada prima di sentire il ragazzo con voce ansimante chiedere “aiutatemi”. “Adesso ti aiutiamo” ha risposto l’agente telefonando poi in centrale per chiedere un’ambulanza.
Dopo di lei ha parlato proprio la “delatrice”, Carla Fioresi che ricorda in aula le parole che le riferì Lucia Bassi un paio di giorni dopo il decesso di Federico: “Mi ha detto di aver sentito un trambusto, di aver aperto la tapparella temendo danni alla propria auto, e di aver visto il ragazzo che si dimenava sotto un poliziotto che cercava di ammanettarlo… a un certo punto il ragazzo ha cominciato a respirare ansimando e chiedeva più volte “aiutatemi!”. Il poliziotto sopra di lui – continua la Fioresi – diceva di non riuscire a mettergli le manette e di essere stato colpito con un calcio alla pancia; la poliziotta si chiedeva quando sarebbero arrivati gli altri”.
Diversi poi i residenti che avvertono il rumore di un’auto che accende il motore, sgomma e subito dopo il frastuono di un accartocciarsi di lamiere.
Prima di loro hanno parlato tre degli amici che erano con Federico o che l’avevano visto l’ultima sera. I ricordi più lucidi sono quelli di Paolo Burini che racconta di come abbia saputo dalla polizia che poche ore prima era morto Aldrovandi: “Il tuo amico è morto. È morto perché era un drogato. Anche tu sei un drogato. Siete tutti dei drogati. Dicci da chi avete preso la droga”. Queste le parole che ha riferito davanti al giudice. Chi pronunciò quelle frasi gli venne presentato come un medico legale. “Aveva i capelli bianchi e corti”, ricorda Burini. Successivamente il giovane apprese che era in realtà il capo della squadra mobile Pietro Scroccarello.
Burini ha negato poi di aver mai detto che “Federico lavorava in pizzeria come pony express per pagarsi le dosi”, frase che comparirebbe nel verbale redatto in questura il giorno della morte di Federico. Sul procedimento c’è una richiesta di archiviazione.
Il processo proseguirà mercoledì 12 dicembre a partire dalle ore 11,30, quando verranno ascoltati sette residenti.