Stefano Cucchi “ha concluso la sua vita in modo disumano e degradante”. Questa la conclusione dell’indagine della Direzione generale delle carceri decisa dal Dap sulla fine del tossicodipendente arrestato dai carabinieri il 15 ottobre scorso e deceduto nel reparto detentivo dell`ospedale Sandro Pertini di Roma il 22 ottobre dov`era stato ricoverato per le fratture subite. Il rapporto è pubblicato dal Corriere della Sera. Gli elementi che il 22 ottobre hanno portato alla morte di Cucchi sono l’esempio “di una incredibile, continuativa mancata risposta alla effettiva tutela dei diritti, in tutte le tappe che hanno visto Stefano Cucchi imbattersi nei vari servizi di diversi organi pubblici”. Sotto la lente di ingrandimento il comportamento del personale dell’amministrazione penitenziaria, agenti compresi. Le possibili colpe di “altri organi e servizi pubblici dai quali Cucchi è transitato, non attenuano la responsabilità di quanti, appartenendo all’amministrazione penitenziaria, abbiano partecipato con azioni e omissioni alla catena della mancata assistenza”.
La relazione della commissione formata da Sebastiano Ardita, Maria Letizia Tricoli e Federico Falzone e altri funzionari del Dap è stata inviata alla Procura di Roma, che la valuterà e ne trarrà eventuali conseguenze. La relazione descrive le “condizioni lavorativamente difficili” in cui si muovono gli agenti della penitenziaria, cosa che peró non giustifica il fatto che “il personale non sia stato posto a conoscenza neppure dell`esistenza della circolare per l’accoglienza dei ‘nuovi giunti’. Appare incomprensibile, prosegue la relazione, la mancata attuazione di alcuni requisiti minimi di ordine amministrativo già previsti, e la mancata segnalazione di taluni gravi aspetti disfunzionali su carenze di carattere igienico sanitario e sulla gestione degli arrestati”. Di fatto, “all’atto del sopralluogo le condizioni igieniche presentano evidenze di materiale organico ormai essiccato sui muri interni (vomito) che risultano in parte ingialliti e sporcati con scritte. Sul pavimento, negli angoli, si rilevano accumuli di sporcizia”.
Nella relazione si susseguono poi le testimonianze di chi si trovava sul posto quando Stefano è stato picchiato, a partire dall`infermiere del servizio 118 che visitò Cucchi la notte dell’arresto, tra il 15 e il 16 ottobre, nella stazione dei carabinieri di Torsapienza, che trovó Cucchi con un arrossamento sul volto “tipo eritema, sulla regione sottopalpebrale destra”, ma “comunque rispondeva a tono e rifiutava ogni intervento”. Poi la testimonianza dell’assistente capo della polizia penitenziaria: “Ho notato che aveva il viso tumefatto, di un evidente colore marrone scuro”. Poi la testimonianza dell’ispettore capo A.L.R. E dell`assistente capo B.M., che perquisí Cucchi: “Gli ho detto, in maniera ironica e per sdrammatizzare, ‘hai fatto un frontale con un treno’, e lui mi ha risposto che era stato ‘pestato’ all’atto dell’arresto”.
Per quanto riguarda il ricovero al Pertini, secondo la relazione le regole interne dell`ospedale hanno “finito per incidere perfino su residui spazi che risultano assolutamente garantiti nella dimensione penitenziaria. Ragione per cui il trattamento finale del degente-detenuto è risultato essere la somma di tutti i limiti del carcere, dell`ospedale e della burocrazia”. Una vicenda, in conclusione, che “rappresenta un indicatore di insufficiente collaborazione tra responsabili sanitari e penitenziari”. “Risulta censurabile l’operato complessivo nei confronti del detenuto Cucchi e dei suoi familiari, in particolare nell`ambito del ‘Pertini’, laddove non è stata posta in essere delle prescrizioni volte all’accoglienza e all’interpretazione del disagio del detenuto tossicodipendente” .