Dopo aver visto come la docu-serie italiana su San Patrignano è stata accolta dalla stampa anglosassone, ora è la volta di quella in lingua spagnola. Partiamo da lontano, dal Venezuela, e in particolare da El Estímulo, un sito d’informazione fondato nel 2014 da Paula Quinteros, nota giornalista radiofonica e televisiva poi diventata anche imprenditrice dell’informazione ed editore (dal Sudamerica alla Spagna). L’articolo su questo prodotto tv italiano (lo trovate a questo link), uscito in Venezuela e altrove con il titolo inglese “Sanpa: Sins of Savior” (i peccati di un salvatore), è stato pubblicato lo scorso 4 gennaio a firma di Jovan Pulgarín, giornalista per diverse riviste, radio e tv formatosi alla Scuola di comunicazione sociale dell’Università cattolica Andrés Bello (Ucab) di Caracas. Particolare che potrebbe aiutarci a capire visione e terminologia adottata. L’attacco del suo pezzo chiarisce innanzitutto: «Il nome di Vincenzo Muccioli ti fa suonare un campanello? Se non conosci la storia d’Italia, in particolare quella vissuta tra gli anni Ottanta e Novanta, probabilmente no». Riguardo al prodotto televisivo, per Bello «inizia in modo molto simile a “Wild Wild Country”, il famoso documentario sul guru Bhagwan Shree Rajneesh (Osho)». Perché a suo dire «abbiamo un uomo carismatico che si rivolge ai tossicodipendenti e gli apre le porte della propria casa, a San Patrignano, perché si rimettano». Per quest’ultimo termine, il verbo spagnolo adoperato nell’articolo è curar, che può significare per l’appunto rimettersi, ma anche guarire o curarsi. In questo caso, diamo per buono il primo.
Per l’autore dell’articolo de El Estímulo ciò avveniva «in linea di principio, senza alcun costo in cambio. Ma presto capiremo che questo aiuto non è gratuito». Bello individua però subito dopo una differenza sostanziale tra i 2 doc: «a differenza di “Wild Wild Country”, “SanPa” mostra rapidamente che alcuni degli eccessi vissuti al suo interno, ad esempio la violenza, non solo erano di dominio pubblico, ma persino approvati dai parenti degli internati». Affermazione in parte vera. L’autore de El Estímulo lo ritiene «un documentario diverso dalla tipica sceneggiatura del leader ambizioso o che impazzisce, perché lo sviluppo della storia è alimentato da un gran numero di voci che ci consentono di sollevare importanti domande sul bene comune e individuale, la libertà, la democrazia e le considerazioni da fare su una complicata dipendenza come la tossicodipendenza». Qualche paragrafo dopo, l’autore dell’articolo cerca di spiegare ai propri lettori il contesto: «Per comprendere la portata del problema, l’eroina in Italia era diventata un affare così redditizio a metà degli anni Ottanta che si espanse fino a diventare il primo fornitore di questa sostanza negli Stati Uniti. Tanto che il governo di Ronald Regan dovette lavorare fianco a fianco con Sandro Pertini per frenare questo mercato e le mafie italiane».
Subito dopo, con un po’ di retorica, Bello ricorda come «a nessuno sembrava importare delle dozzine di tossicodipendenti che morivano per strada o vagavano come zombie», ma anche che «le stesse vittime si accampavano fuori dalla comunità, per essere accolte ed evitare così la morte», facendo sì che «una casa progettata per ospitare un centinaio di persone è diventata la casa per migliaia». Più interessante, forse, è l’analisi finale dell’autore dell’articolo de El Estímulo sulla «rassegna delle dinamiche di potere» che propone la docu-serie. Per Bello, «come ogni populista, Muccioli guadagnava terreno e questo lo ha portato a migrare in territori grigi. Stiamo parlando di un uomo che ha ricevuto milioni di euro per portare avanti il suo progetto», soprattutto dal «suo principale alleato economico, Gian Marco Moratti, azionista dell’Inter (…), ma che dentro la sua creatura ha ceduto il potere a persone senza alcuna preparazione e con una predisposizione alla violenza». L’articolo si conclude con 2 domande: «Muccioli era un visionario, che ha utilizzato il suo centro di riabilitazione per diventare uno degli uomini più potenti d’Italia? Oppure Muccioli è stato consumato dalla sua ambizione, dopo un inizio motivato da buoni propositi?». La risposta, gli autori della serie, «la lasciano saggiamente allo spettatore».
Il secondo articolo che vi proponiamo è del quotidiano spagnolo progressista El Paìs, il primo giornale non sportivo più diffuso in Spagna, edito da quello che è considerato il primo gruppo del Paese della comunicazione, della formazione, della cultura e dell’intrattenimento (Prisa), attivo in 22 nazioni fra Europa e Americhe. Pubblicato il 5 gennaio è stato scritto dalla corrispondente da Roma, Lorena Pacho. La giornalista spagnola inizia il suo articolo ricordando che all’inizio degli anni Ottanta, «un popolare programma televisivo italiano lanciò in piena prima serata un sondaggio: “Chi è l’italiano migliore, il più bravo: Vincenzo Muccioli, Giorgio Armani, Valentino Garavani o Gianni Versace?” Gli spettatori votarono in massa per Muccioli, l’unico dei quattro che non è stato uno stilista di successo e che fino a poco tempo fa era del tutto sconosciuto al grande pubblico». Nel perfetto stile del quotidiano spagnolo, fondato a regime di Franco caduto da appena 5 mesi (è coetaneo della nostra La Repubblica) dando così voce alla Spagna democratica, la Pacho ricorda anche «qualche anno dopo, la copertina di una nota pubblicazione intitolata “Benito Mucciolini”, in un gioco di parole che legava il nome del fondatore del centro a quello del dittatore fascista Benito Mussolini». L’articolo della corrispondente da Roma de El Paìs riassume così ai suoi lettori le ombre sulla comunità di San Patrignano: «Un clamoroso declino causato da controversi metodi di contenzione, come l’uso di catene per impedire ai reclusi di soccombere ai sintomi dell’astinenza; ricorrenti accuse di sequestro di persona e trattamenti degradanti, una scia di procedimenti giudiziari, diverse morti sospette e un omicidio tra le mura della comunità modello che è stata trasformata nel centro degli orrori».
Riguardo alla figura del fondatore Muccioli, la Pacho lo definisce «un personaggio straordinario, carismatico, un illusionista della comunicazione, una delle figure più controverse, amate e odiate dell’Italia a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta». Il motivo? «In assenza di efficaci politiche di prevenzione e trattamento, è diventato un santo per migliaia di famiglie che vedevano in lui l’unica speranza per salvare i propri cari dalle grinfie della droga. Per altri, invece, era un truffatore, un megalomane che ha costruito il suo impero sulla violenza». Ecco spiegato in 2 frasi come mai «per quasi vent’anni l’Italia è stata divisa a metà, ancora una volta, come quasi su tutto, tra fedeli e detrattori di Vincenzo Muccioli». Una netta spaccatura, per la quale «entrambe le parti hanno sfilato per le strade, attraverso tv e tribunali, alimentando il mito. Muccioli è stato addirittura proposto ministro della Salute: “A quei tempi era l’uomo più potente d’Italia”, afferma un ex internato nella comunità». Il servizio de El Paìs prosegue poi ripercorrendo la storia di San Patrignano, «i momenti di luce e gli episodi più oscuri». Per concludere «il cocktail esplosivo», miscelato dalla docu-serie italiana di Netflix, cita poi «lo scoppio dell’epidemia di Aids e l’unione con i benefattori legati a un’importante famiglia petrolifera del nord Italia, ai vertici della politica nazionale». Il tutto, senza però fare mai il nome dei Moratti, che hanno permesso la crescita e la sopravvivenza di San Patrignano «finita per diventare un punto di riferimento, anche internazionale, nella lotta alla droga e che oggi, sotto altra gestione (la loro, ndr), si smarca dalle polemiche passate e dalla “parziale versione”, a loro dire mostrata nel documentario».
L’ultimo articolo che vi proponiamo (per leggerlo a questo link è necessaria la registrazione gratuita) è del quarto quotidiano generalista spagnolo per diffusione, il catalano La Vanguardia, fondato nel 1881 e dalle posizioni centriste, liberali, indipendentiste, monarchiche e cattoliche. A firmarlo, il giornalista, scrittore e traduttore catalano d’adozione (è nato a Parigi), Sergi Pàmies. Pubblicato il 9 gennaio è una recensione di tre serie allora appena uscite su Netflix, alle quali l’autore dedica circa 900 battute l’una. La prima è per l’appunto quella su San Patrignano, da lui ritenuta «una buona docu-serie italiana» che «racconta la vita e l’opera del carismatico Vincenzo Muccioli, fondatore e leader negli anni Settanta di una controversa comunità di riabilitazione dalla tossicodipendenza». Per Pàmies, «in un Paese devastato dall’arrivo dell’eroina, Muccioli ignora l’inerzia ufficiale e mette in piedi una fattoria con regole di ammissione trasgressive: se i tossicodipendenti vogliono abbandonare il trattamento, Muccioli non li lascia andare via e, se necessario, li rinchiude contro la loro volontà». Per il giornalista e scrittore «questo metodo, degenera in brutalità», mentre «il carisma missionario» del fondatore di San Patrignano «si trasforma in mostruosa megalomania». Secondo il giornalista de La Vanguardia, «la serie aiuta anche a capire fino a che punto la droga, che qualcuno avrebbe dovuto considerare una minaccia, fosse la soluzione per interferire nei processi di emancipazione giovanile». Per ora è tutto, alla prossima puntata con gli articoli in un altro idioma.