Chi scrive ha fatto parte del Coordinamento Nazionale per i diritti dei consumatori di droghe, “In Prima Persona” (IPP), nato autonomamente da istanze di gruppi di interesse e di self-help, di giornali di strada presenti a macchia di leopardo sul territorio nazionale.
Per chi non l’ha conosciuta, stiamo parlando di una iniziativa indipendente, nata “dal basso” nella quale come consumatori di sostanze ci si proponeva in qualità di soggetti portatori di diritti; con dignità, autonomia e libertà. Certo, libertà. Intesa come libertà di scelta, tanto nel trattamento e nella cura, quanto nella innominabile e stigmatizzata libertà di consumare. A tal proposito, credo che non risulti difficile immaginare come, in pieno clima di “guerra alla droga”, quel modo “altro” di proporsi, con un rovesciamento radicale di paradigma, fosse non solo mal visto ma fortemente osteggiato. Purtroppo, occorre ricordare che tra chi non accettava o comunque mal sopportava quella “voce”critica e diversa – questa affermazione di “dignità pubblica” – non c’erano solo i pasdaran di San Patrignano e della “Tolleranza zero”, ma anche una buona parte di coloro che più “democraticamente” e “laicamente” si occupavano di dipendenze, nel privato sociale come nel pubblico.
IPP ha trovato lungo il proprio faticoso percorso anche “compagni di viaggio” che l’hanno sostenuto e accompagnato, ha avuto l’opportunità di dare visibilità al proprio pensiero e di confrontarsi con realtà nazionali e non particolarmente attente e sensibili, tuttavia la riflessione pubblica prevalente sul tema droghe finiva spesso in uno sterile derby tra proibizionisti e antiproibizionisti in cui trionfavano le ideologie e si dimenticavano le persone. Ricordo che alla II^ Conferenza Nazionale sulle droghe, che si tenne a Napoli nel ’97, presentammo la “Carta dei Diritti dei consumatori di droghe” davanti alle facce sorprese, sconcertate e indignate presenti nella sala della plenaria, davanti alla ministra Turco che avevamo incontrato giorni prima e che si era prodigata per dare spazio alla nostra proposta.
Quell’esperienza di autorganizzazione, quello spazio di riflessione in cui abitava un’elaborazione teorica che partiva da un “Sé completato” (non ristrutturato), da chi le storie di consumo più o meno problematico le aveva vissute e/o le stava vivendo si confrontava tentando di tradurre concretamente, di dare un respiro sociale al tanto utilizzato (non sempre a proposito) concetto di self-empowerment. Al contempo, nei ridotti e saltuari ambiti in cui era possibile, si cercava di cambiare e riequilibrare il rapporto tra paziente e curante attraverso l’affermazione del diritto alla negoziazione delle cure e delle terapie.
Il concetto vero, il “nocciolo” fondamentale di “bassa soglia” stava, per noi, proprio in questo tanto complesso quanto delicato passaggio, dal “paziente-utente passivo” a “cliente-soggetto attivo”. Altresì, si metteva all’indice la schematizzazione imperante che giocava la partita tra medicalizzazione e criminalizzazione, rimuovendo tutto il resto. Anche da qui prendeva fiato la stagione più ricca, plurale e innovativa degli interventi/progetti di Riduzione del Danno, fatta di straordinari incontri tra pari in cui si confrontavano e scambiavano i saperi e i “sentire” (Peer Support), quando ancora lo Stato metteva a disposizione risorse per poter sperimentare nuovi approcci e metodi. Ricordo una frase che ripetevamo continuamente nei nostri messaggi: “provare ad essere, noi consumatori, altro dall’“alterato”, e voi, non consumatori, alterati dall’Altro”.
In questa fase, appare innegabile che se si è riattivato un dibattito intorno alla storia di San Patrignano e alla figura di Muccioli è merito della docu-fiction prodotta da Netflix. Tuttavia, non sarebbe niente di più di questo se la discussione restasse dentro al recinto del confronto/scontro tra chi sta da una parte e chi dall’altra. La questione droghe ha una natura multidimensionale, complessa e generale che necessita di chiavi di lettura plurime e profonde, non di schieramenti tout-court, di semplificazioni e di slogan. Di strada da percorrere ce n’è tanta da fare per cambiare il pessimo stato di cose presente. Serve il contributo di tutte e tutti.